L’ansia è un’emozione naturale di per sé utile all’adattamento. Basti pensare che, senza ansia e paura, l’uomo non sarebbe sopravvissuto e non sopravvivrebbe ai pericoli. Senza ricorrere ad esempi così estremi, si pensi all’ansia quale alleata nel momento in cui bisogna affrontare una prova, un esame, una situazione in cui è necessaria una notevole dose di attenzione e concentrazione. Una certa quota di ansia è dunque utile nella quotidianità, ma, in alcune situazioni, quando è eccessiva può bloccare l’individuo, trasformarsi in panico, in una parola, può diventare patologica.
L’ansia può essere espressione di un conflitto interno che va indagato per poi essere rielaborato: essa può rappresentare un segnale in risposta al quale l’Io mette in atto delle difese per impedire che pensieri e sentimenti inaccettabili giungano alla consapevolezza.
Dal punto di vista fisiologico, l’ansia si presenta attraverso un’attivazione neurovegetativa che riguarda il sistema limbico, la corteccia frontale orbitale, i nuclei vegetativi del tronco dell’encefalo e il SNA (simpatico e parasimpatico). La medesima attivazione fisiologica è propria anche della rabbia: dunque, a parità di manifestazioni somatiche, ciò che cambia è l’interpretazione cognitiva che viene data alla situazione che si sta vivendo.
In generale si può definire l’ansia come la conseguenza della sottostima delle proprie capacità di gestione di un evento e da una sovrastima della difficoltà dell’evento stesso.
Una definizione simile potrebbe essere attribuita anche alla depressione ma la differenza è che nell’ansia esiste la capacità di prevedere una soluzione, il soggetto è attivo nella ricerca di strategie di fronteggiamento della realtà, mentre i soggetti depressi non vedono vie d’uscita, sono, per così dire, rassegnati.
Il DSM-V (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali) classifica e descrive i seguenti disturbi d’ansia:
- Attacco di Panico;
- Disturbo di Panico senza Agorafobia;
- Disturbo di Panico con Agorafobia;
- Agorafobia senza Anamnesi di Disturbo di Panico;
- Fobia Specifica;
- Fobia Sociale;
- Disturbo Ossessivo Compulsivo;
- Disturbo Post-Traumatico da Stress;
- Disturbo Acuto da Stress;
- Disturbo d’Ansia Generalizzato.
In questa sede non verranno presi in considerazione il Disturbo Post-Traumatico da Stress e il Disturbo Acuto da Stress, che verranno invece trattati nell'ambito dello Stress.
In molti casi si rivela utile affiancare una psicoterapia con la somministrazione di farmaci ansiolitici o antidepressivi da parte del medico per trattare i sintomi acuti e, spesso, invalidanti e permettere al paziente di giovare di un percorso di aiuto con un professionista, che favorisca la comprensione del significato del disturbo, la sua elaborazione e la modifica del comportamento appreso. L’approccio cognitivo-comportamentale, ad esempio, analizza i modelli cognitivi che perpetuano i pensieri e i comportamenti disturbati e prevede l’insegnamento al paziente di tecniche specifiche di rilassamento e di gestione dello stress.
La combinazione di farmaci e di terapia cognitivo-comportamentale sembra superiore all’uno o all’altro trattamento da solo. In molti casi infatti, i farmaci riducono temporaneamente l’ansia ma non cambiano il modello di apprendimento che ne è alla base e che la perpetua. Nella terapia cognitivo-comportamentale, si parte dal presupposto che alla base degli stati ansiosi e fobici patologici ci sarebbe una distorsione cognitiva data da pensieri negativi automatici che dipendono da uno schema di pericolo/minaccia, nucleo che si attiva in situazioni più o meno specifiche e sul quale il professionista dovrà intervenire. Che cosa teme il paziente? Quali sono le situazioni in cui tali schemi si attivano generando l’ansia, l’attacco di panico, o più in generale, il sintomo?
È importante per il soggetto ricevere informazioni sui propri sintomi, essere aiutati a capire esattamente di cosa si ha paura, a ristrutturare i pensieri disfunzionali, individuare le situazioni scatenanti, migliorare l’autostima, la gestione dello stress e del tempo e ad evidenziare le proprie risorse circa la sua capacità di risoluzione dei problemi che utilizza in altri ambiti.
Prima di intervenire sugli stati ansiosi del paziente è necessario indagare i fattori di mantenimento del disturbo che possono essere dati da evitamento comportamentale (es. rinforzo negativo), da distorsioni cognitive e da vantaggi secondari (es. manipolazione delle relazioni familiari, assunzione del ruolo di malato, allontanamento del senso di responsabilità).
Il cambiamento inizia quando vengono rimossi i fattori che ostacolano la motivazione all’autorealizzazione e che instaurano l’ansia.
Tra le tecniche di trattamento comportamentale possono essere utilizzate il Training Autogeno (tecnica di rilassamento basata sulla correlazione tra stati psichici (in particolare le emozioni) e aspetti somatici dell'individuo) e la Desensibilizzazione Sistematica.
La Desensibilizzazione Sistematica prevede la preparazione di una gerarchia di stimoli ansiogeni posti in ordine crescente, un addestramento a una tecnica di rilassamento, la visualizzazione, in stato di rilassamento, della situazione in cui vi è lo stimolo meno ansiogeno, passando successivamente e gradualmente alle scene successive della gerarchia.
È importante informare il paziente dell’andamento fisiologico dell’ansia: spesso il cliente ritiene che la sua ansia si sviluppi in due stadi, un arrivo improvviso e una fine, che però non viene presagita durante il picco di ansia, la quale viene così percepita come interminabile.
Il cliente, aiutato dal professionista, deve imparare a riconoscere gli step intermedi del suo stato ansioso e, grazie al dialogo interno funzionale, ad affrontarli attraverso modalità efficaci. Modificare il dialogo interno disfunzionale che mantiene in vita il disturbo d’ansia è dunque fondamentale.
Anche approcci di tipo psicodinamico possono risultare efficaci soprattutto in termini di elaborazione dei conflitti sottostanti ai sintomi.
Di seguito si passano in rassegna alcuni disturbi d’ansia così come sono codificati nel DSM-IV con indicazioni specifiche riguardo alle possibilità di intervento.
Attacco di Panico e Disturbo di Panico senza Agorafobia. L’Attacco di Panico è caratterizzato essenzialmente da un periodo preciso, durante il quale vi è l’insorgenza improvvisa di paura (talvolta terrore) e disagio molto intensi in assenza di un vero pericolo. L’attacco ha un inizio improvviso ed è accompagnato da altri sintomi (almeno 4) tra palpitazioni, sudorazione, tremori, brividi, dolori al petto, senso di soffocamento, senso di asfissia, nausea, vertigini, paura di impazzire, paura di morire, derealizzazione, depersonalizzazione, etc. La sintomatologia, perlopiù organica, assomiglia alle prime fasi di un infarto e spesso è accompagnata da un senso di pericolo o di catastrofe imminente e da urgenza di allontanarsi.
Non si tratta di un disturbo codificabile e quindi bisogna individuare la diagnosi specifica nell’ambito della quale l’attacco si manifesta, ad esempio, Disturbo di Panico senza Agorafobia (Frequenti attacchi di panico improvvisi con continua preoccupazione del loro ripresentarsi, delle conseguenze e significativo cambiamento di comportamento correlato agli attacchi).
Tale disturbo può apparire privo di contenuti psicologici, in alcuni casi gli attacchi sembrano venire “dal nulla”, senza apparenti fattori precipitanti ambientali o intrapsichici.
Il punto centrale da esplorare è il tipo di conflitto espresso attraverso l’attacco di panico. A questo proposito è utile raccogliere informazioni sulle circostanze di insorgenza (dove si trovava, dove stava andando, che stava facendo, con chi etc.), il motivo per cui si chiede aiuto proprio ora; il livello di incidenza sul funzionamento globale della persona.
Importante è analizzare la domanda, sondare la motivazione del soggetto: spesso sono i familiari, stressati dalle conseguenze del disturbo o comunque preoccupati a spingere il soggetto a cercare aiuto, oppure un medico. Spesso infatti il primo tipo di aiuto che si cerca è di tipo medico, date le manifestazioni somatiche degli attacchi, ma quando non sono riscontrabili cause organiche è importante che l’aiuto sia di altra natura. Può non essere facile per il soggetto accettare di avere un problema di tipo psicologico piuttosto che di origine organica, dunque non sempre la motivazione ad intraprendere una consulenza psicologica o una psicoterapia è sufficiente.
Si è riscontrato che i pazienti presentano una maggiore incidenza di eventi esistenziali stressanti, in particolare perdite significative, nel mese che precede l’esordio del disturbo.
Vedi anche Attachi di panico.
L’Agorafobia non è un disturbo codificabile, quindi va precisato il disturbo specifico in cui si manifesta: Disturbo di panico con Agorafobia o Agorafobia senza anamnesi di Disturbo di Panico.
Il soggetto prova una forte ansia quando si trova in situazioni dalle quali ritiene che sia difficile allontanarsi e teme di non poter ricevere aiuto se viene colpito da un attacco di panico.
Gli attacchi si presentano soprattutto quando il soggetto è lontano da casa, egli cerca di evitare al massimo le uscite e quando esce cerca qualcuno che lo accompagni e spesso riferisce di sentirsi sospeso senza la terra sotto i piedi, di provare smarrimento e mancanza d’aria.
Risulta essenziale esplorare il conflitto tra dipendenza e indipendenza, domandare chi è l’altro dominante, da cui l’agorafobico dipende (tenendo presente che spesso il disturbo potrebbe essere un modo per avere il controllo di sé e dell’altro, infatti è legato a problemi derivanti dal processo di separazione- individuazione) ed esplorare la motivazione del soggetto a farsi aiutare.
Il Disturbo di Panico con Agorafobia è caratterizzato da frequenti attacchi di panico e da agorafobia, tali da provocare una grave menomazione dell’autonomia del soggetto che chiede di essere accompagnato durante le uscite, o delega qualcuno a sostituirlo nello svolgimento delle varie commissioni.
È importante indagare se l’agorafobia è stata conseguente all’attacco di panico e quindi reattiva.
L’intervento terapeutico dipende dalla codifica della diagnosi in cui si manifesta l’agorafobia. Comunque, poiché l’agorafobia si manifesta in ambito nevrotico (e non psicotico, nel quale si verifica un distacco dalla realtà) si può adottare una terapia espressiva con tre possibili approcci terapeutici:
- Approccio cognitivo-comportamentale: si tende a sostituire pensieri disfunzionali con pensieri funzionali;
- Approccio sistemico: si cerca di modificare l’equilibrio patogeno del gruppo familiare, partendo dal disturbo manifestato dal soggetto che probabilmente funge da capro espiatorio, rielaborando le tematiche di dipendenza e favorendo lo svincolo e l’individuazione dei membri del sistema;
- Approccio psicodinamico: tende a rielaborare i termini del conflitto tra dipendenza e indipendenza, superare la simbiosi, favorendo lo sviluppo dell’autonomia e l’eventuale rielaborazione del lutto, rafforzare i confini interni e canalizzare l’aggressività.
La Fobia Specifica è caratterizzata da un’ansia clinicamente significativa provocata dall’esposizione ad un oggetto o situazione temuti, che spesso determina condotte di evitamento.
Gli adolescenti e gli adulti riconoscono l’eccessività e l’irragionevolezza della paura. Per soggetti con età inferiore a 18 anni i sintomi devono persistere da almeno 6 mesi prima di effettuare una diagnosi di fobia specifica.
Secondo una visione psicodinamica ogni fobia ha una componente di repulsione e di attrazione inconsapevole verso l’oggetto temuto, che viene contrastata attraverso i tre meccanismi di difesa, quali lo spostamento, la proiezione e l’evitamento, meccanismi che agiscono contemporaneamente: la paura viene spostata dagli oggetti interni e proiettata su oggetti esterni, che vengono il più possibile evitati.
Tra i vari tipi di fobia il DSM-IV annovera:
- tipo animali: fobia verso uno o più generi di animali;
- tipo ambiente naturale: paura eccessiva di eventi o elementi come temporali, altezze, acqua;
- tipo sangue: iniezioni, ferite;
- tipo situazionale: come trovarsi in un tunnel, in ascensore, su ponti.
È importante indagare quali sono gli oggetti e le situazioni temute e quale sia il loro significato simbolico, sugli oggetti paurosi interni e su eventuali pulsioni inaccettate, la modalità con cui è stata fronteggiata fino ad oggi la fobia, gli eventuali vantaggi secondari del disturbo e periodo e circostanze di insorgenza.
Anche in questo caso, poiché è conservata la relazione con la realtà si può adottare una terapia espressiva con tre possibili approcci terapeutici:
- Approccio cognitivo: si tende a sostituire pensieri disfunzionali con pensieri funzionali;
- Approccio comportamentale: si basa su tecniche quali la desensibilizzazione sistematica verso lo stimolo o l’immersione graduata nelle situazioni ansiogene;
- Approccio psicodinamico: tende a rielaborare i termini del conflitto rappresentato simbolicamente dall’oggetto temuto.
La Fobia Sociale è la paura marcata e persistente di situazioni sociali, di prestazioni a cui il soggetto è esposto in presenza di altri, e del loro giudizio. L’esposizione a tali stimoli fobici provoca una risposta ansiosa generalizzata, che può assumere le caratteristiche di Attacco di Panico. La persona riconosce che la paura è eccessiva e irragionevole e mette in atto condotte di evitamento o sopporta con grande disagio le situazioni sociali o prestazionali temute. Tutto questo interferisce significativamente con il funzionamento lavorativo e sociale del soggetto.
È importante indagare
- quali sono le situazioni sociali che maggiormente creano disagio e quale vissuto suscitano;
- come il soggetto ha vissuto ed elaborato le tematiche legate all’esibirsi, al mostrarsi, tematiche che secondo la concezione psicodinamica predominano nella fase fallico-edipica;
- conoscere il periodo e le circostanze di insorgenza della patologia.
Anche in questo caso può risultare utile un percorso terapeutico cognitivo-comportamentale (tecniche quali il decondizionamento verso le situazioni sociali temute o l’immersione graduata nelle situazioni ansiogene) o ad approccio psicodinamico che tende a favorire un processo di consapevolizzazione ed elaborazione dei termini del conflitto e a promuovere l’affermazione individuale.
Disturbo Ossessivo Compulsivo. Le caratteristiche essenziali del DOC sono ossessioni o compulsioni ricorrenti tali da richiedere un dispendio di tempo di più di un’ora al giorno o da causare disagio significativo al soggetto.
Le ossessioni sono rappresentate da idee, impulsi, rappresentazioni mentali che giungono alla coscienza in maniera inappropriata ed intrusiva, contro la volontà stessa del paziente che le vive come estranee, abnormi, incongrue e, quindi, egodistoniche.
Le ossessioni più frequenti riguardano:
- l’aggressività: paura di far male agli altri o a se stessi; paura di lasciarsi sfuggire oscenità;
- la contaminazione: preoccupazione dello sporco, degli escrementi, paura di ammalarsi;
- il sesso: pensieri o immagini proibite o perversi, pensieri incestuosi, omosessuali;
- l’accumulo: collezioni di oggetti più svariati, collezioni di oggetti depredati (queste ultime sono più vicine alla psicosi).
Le compulsioni sono:
- comportamenti ripetitivi (rituali) ad es.: lavarsi le mani ripetutamente, sistemare oggetti in determinate posizioni, ecc.
- azioni mentali del tipo contare, ripetere mentalmente parole, ecc.
Sia che si tratti di comportamenti ripetitivi o azioni mentali, le compulsioni hanno l’obiettivo di prevenire o ridurre l’ansia o il disagio, e non quello di fornire piacere o gratificazione. Causano disagio marcato, interferendo con il funzionamento lavorativo e sociale o con le relazioni con gli altri, si presenta un ritiro affettivo.
La coscienza di malattia (insight) è conservata, ed il paziente critica tali idee considerandole una produzione mentale morbosa.
È importante:
- scoprire cosa accadrebbe, secondo il soggetto, se non mettesse in atto il rituale;
- raccogliere informazioni sulle diverse fasi di sviluppo con particolare riguardo alla fase anale;
- sapere da quanto tempo è presente il disturbo, quali sono state le circostanze di insorgenza, perché chiede aiuto proprio ora,
- analizzare la domanda, per capire i bisogni e le aspettative del soggetto.
Secondo una visione psicodinamica si ipotizza una fissazione o una regressione ad uno stato anale, dove predominano tematiche legate al controllo del proprio corpo e al conflitto tra il trattenere e l’espellere.
Molti autori ritengono in oltre che in alcuni casi il condizionamento comportamentale possa essere utile come intervento primario per le compulsioni, benché l’intervento sembri essere meno efficace per il pensiero ossessivo. Si usano anche la desensibilizzazione sistematica o la terapia cognitivo-comportamentale attraverso la quale si mira a sostituire le idee ossessive con pensieri razionali che tendano al benessere del soggetto.
Per affrontare però i problemi relazionali secondari alla sintomatologia, la terapia psicodinamica può essere una modalità efficace: può migliorare in maniera significativa il funzionamento interpersonale dei pazienti con DOC. In particolare possono essere d’aiuto una psicoterapia dinamica di gruppo o della famiglia, spesso fortemente coinvolta nelle manifestazioni e nelle conseguenze del disturbo. Un approccio psicodinamico a favorisce inoltre un processo di rielaborazione dei termini del conflitto favorendo la canalizzazione, la soddisfazione e la gestione della pulsionalità inaccettata.
È importante inoltre analizzare i fattori che attivano o aggravano i sintomi. Aiutando i pazienti e le loro famiglie a comprendere la natura di questi fattori stressanti, i sintomi possono essere gestiti in maniera più efficace.
Il Disturbo d’Ansia Generalizzato è caratterizzato da almeno 6 mesi di ansia e preoccupazioni difficilmente controllabili, che riguardano una pluralità di tematiche e sono presenti per la maggior parte della giornata. Queste preoccupazioni si manifestano attraverso il corpo (tensione muscolare, affaticabilità etc.) e incidono sull’umore e il sonno.
È importante esplorare il conflitto e le pulsioni sottostanti la sintomatologia ansiosa, sapere da quanto tempo è presente il disturbo, quali sono state le circostanze di insorgenza, su quali tematiche verte principalmente l’ansia, in che momento della giornata e in che circostanze si presenta la sintomatologia. Poiché l’ansia è un segnale di pericolo, è importante capire da che cosa il soggetto vuole proteggersi, il livello di compromissione delle aree di funzionalità, gli stili difensivi messi in atto e la percezione del sé.
Negli individui acutamente ansiosi, i farmaci ansiolitici sono indubbiamente efficaci: riducono rapidamente la sintomatologia, specialmente nelle prime settimane di terapia. A causa del rischio di sviluppare farmacodipendenza, la maggior parte degli esperti è d’accordo che gli ansiolitici dovrebbero essere prescritti alla dose più bassa possibile per il periodo di tempo più breve possibile. Le forme più lievi di DAG vengono trattate meglio con la psicoterapia nella quale vengono insegnate al paziente strategie per la gestione dell’ansia. Ad esempio, le terapie cognitivo-comportamentali insegnano agli assistiti a verificare come i loro pensieri e le loro rimuginazioni irrealistiche influenzino il loro funzionamento comportamentale.
Molte persone ansiose si preoccupano di essere incapaci di fare fronte all’ansia: temono di perdere il controllo, di impazzire, o di essere pubblicamente in imbarazzo. Di conseguenza, queste paure fanno aumentare l’ansia, creando un circolo vizioso: i pensieri ansiosi aumentano i sintomi d’ansia che, a loro volta, generano pensieri ancora più ansiosi. Le tecniche cognitivo-comportamentali aiutano i pazienti a rompere questo circolo permettendo loro di trattare adeguatamente i pensieri ansiosi e le loro relative espressioni comportamentali.
Un approccio psicodinamico può essere utile partendo dal presupposto che l’ansia è un segnale che esprime un disagio sottostante. Deve essere inoltre valutato il ruolo dell’ansia nell’organizzazione della sua personalità. Alcuni pazienti possono rispondere prontamente a brevi commenti educativi e chiarificatori, e non hanno bisogno di un ulteriore trattamento.